LE ORIGINI DEL PROSCIUTTO

Gennaio 27, 2014

Il nome deriva dal latino: PEREXSUCTUS che significa asciutto. Già Catone il Censore nel De Rustica (II secolo a.C.) parlava di cosce intere di suino, asciugate dal sale e da una lunga stagionatura. Nel 217 a.C. dopo la vittoriosa battaglia sul Trebbia, Annibale entrò trionfante a Parma e gli abitanti nel festeggiarlo per averli liberati dal giogo di Roma, tirarono fuori dai nascondigli alcune botti che contenevano cosce salate di maiale.
Dal Medioevo in poi il Parma è stato protagonista nelle tavole dei principi, dei nobili, della borghesia e anche del popolo.
Nel XIV secolo a.C. – il periodo delle cosidette Terramare – nel parmense e, più precisamente a Monte Leone, abitava un gruppo di uomini che mangiava carne di porco, ed abbandonava le ossa accanto al focolare. Un millennio più tardi, sempre attorno al focolare, nel sito padano di Forcello si sono trovati ben 30.000 frammenti di ossa suine, tra le quali il femore è pressappoco assente: da qui si deduce che le cosce posteriori del maiale venissero portate lontano dalla cucina, affumicate e/o salate per farne prosciutti.
Alla stessa epoca, anche nella Grecia del V secolo, il prosciutto c’era di sicuro e ne conosciamo anche il nome, PERNA, termine che i Romani mantennero e di cui resta un ricordo nell’attuale parola catalana “pernil” e nel castigliano “pierna”, cioè gamba.
Circa il sistema di stagionarlo, c’è quella ricetta di Catone scritta nel II secolo a.C., che però ha di certo origini molto più antiche, poiché nella nostra zona l’abitudine ad allevare la carne di porco risale almeno al IV secolo a.C., cioè quando vi si stazionarono i Celti; si tratta di una ricetta che, tolta qualche differenza, è la nostra di oggi (non era prevista, come per noi, l’aggiunta d’aromi o di spezie, così frequenti nella cucina romana; come per noi, a una prima salatura ne seguivano altre a pochi giorni di distanza; come da noi il prosciutto veniva esposto all’aria).
All’epoca di Catone, il parmense stava per diventare un crocevia tra la strada del sale (si sa quanto questo minerale sia indispensabile al prosciutto) e la via Emilia. Da qui passavano 3/4000 pezzi di prosciutti salati, che finivano con ogni probabilità nelle osterie d’una via di Roma, tuttora chiamata Panisperna.
E’ rimasta in merito, come testimonianza, un incisione su una lapide marmorea che dice:”abbiamo per cena pollo pesce prosciutto pavoni e cacciagione”. Quanto alle quotazioni, nell’Editto di Diocleziano (301 d.C.) il riferimento al prosciutto, lo indica a 20 denari alla libbra, 4 in più delle sardine, ad esempio, e 4 in meno del salame: un prodotto, dunque, popolare, e tuttavia non plebeo.